Dopo 5 anni di silenzio, il fisco perde i soldi

Dopo 5 anni di silenzio, il fisco perde i soldi

Doccia fredda per il Fisco e gli altri enti impositori che omettano di chiedere i tributi ai contribuenti. Dopo 5 anni di silenzio, i tributi non sono più dovuti. La prescrizione è infatti di 5 anni e non di dieci anni come sostengono inutilmente alcuni uffici della pubblica amministrazione, agenzia delle Entrate e della Riscossione, uffici comunali, Inps e altri enti impositori. OSSERVA – Per la Cassazione, sentenza 30362, depositata il 23 novembre 2018, la prescrizione quinquennale è giustificata da un ragionevole principio di equità, che vuole che il debitore venga sottratto all’obbligo di corrispondere quanto dovrebbe per prestazioni già scadute tutte le volte che queste non siano state tempestivamente chieste dal creditore. Nel caso specifico, a fronte di una richiesta originaria di Roma Capitale, già Comune di Roma, per circa 700mila euro, il Comune ha perso tutti i tre gradi di giudizio, primo, secondo grado e Cassazione, subendo anche la condanna al pagamento delle spese di giudizio per 10mila euro, oltre al rimborso del 15% per spese forfetarie e agli accessori di legge, nonché al versamento di un ulteriore importo del contributo unificato. Ecco i fatti:  Il Comune di Roma emette avvisi di liquidazione, notificati il 12 dicembre 2005, chiedendo il canone di pubblicità relativo all’anno 2000, per un totale di 677.407,54 euro. OSSERVA – Il contribuente presenta ricorso, rilevando l’avvenuta prescrizione della richiesta del Comune, in quanto oltrepassati i 5 anni disciplinati dall’articolo 2943, n. 3 e n. 4 del codice civile.

La nuova sentenza della Cassazione consolida l’orientamento dei giudici di legittimità favorevole per i contribuenti, considerato che, dopo 5 anni di silenzio da parte dell’ente impositore, sono di fatto “cancellati” i crediti risultanti dalle cartelle di pagamento.

OSSERVA – Per la Cassazione, sezioni unite civili, sentenza 23397/16, depositata il 17 novembre 2016, le pretese della Pubblica Amministrazione, agenzia delle Entrate, Inps, Inail, Comuni, Regioni, e altri enti impositori, si prescrivono nel termine “breve” di cinque anni, con l’eccezione dei casi in cui la sussistenza del credito non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato o a mezzo di decreto ingiuntivo.

Il credito, dopo 5 anni, è prescritto anche se il contribuente ha presentato ricorso contro la cartella dopo i termini previsti dalla legge, di norma, entro 60 giorni dalla notifica, e, quindi, la cartella si è resa definitiva. In senso conforme alla sentenza dei giudici di legittimità, si è espressa anche la Commissione tributaria regionale di Roma, che, con la sentenza 1050/17, pronunciata il 27 febbraio 2017 e depositata il 7 marzo 2017, ha accolto l’appello del contribuente contro un fermo amministrativo di Equitalia.

Nel verificare se la richiesta del Fisco, della Riscossione o di qualsiasi ente locale è stata fatta dopo 5 anni, occorre prestare attenzione se il silenzio del soggetto richiedente il pagamento sia durato più di 5 anni. E’ vero che la prescrizione quinquennale opera automaticamente, a prescindere da qualsiasi intervento del contribuente o dell’ente creditore, ma è anche vero che i termini per la prescrizione possono essere interrotti, ad esempio, dalla notifica di una intimazione di pagamento, da una notifica di una ulteriore cartella di pagamento per gli stessi importi, da un atto di pignoramento o da un preavviso di fermo o di ipoteca in cui è dettagliato il credito che l’ente creditore intende fare valere. Dal giorno successivo in cui il contribuente riceve un atto interruttivo emesso prima dello spirare dei 5 anni, inizia a decorrere un nuovo termine di prescrizione pari a quello precedente.

Fonte: FiscalFocus

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